Il Crocefisso come uno Tsunami

Violenta ed improvvisa, la questione del Crocefisso ha scatenato il dibattito. Come un’onda anomala, essa s’è alzata dalle fredde e lontane acque di Bruxelles, per abbattersi sul nostro piccolo e caldo mare. Non che le acque domestiche siano in genere più tranquille, ma le correnti che le agitano hanno spesso un’altra origine, molto più locale e familiare.

Da noi, il bacino delle polemiche si nutre perlopiù di questioni locali, svuotandosi attraverso i “rivoli” della politica e dei media, che le riversano – magari anche dopo averle ingigantite con qualche “cascata” creata ad arte- sul mare dell’opinione pubblica. Che dibatte, discute, e spesso si riscopre travolta da inutili e sterili polemiche, impermeabili ai veri bisogni della gente.

 Ma tant’è. L’Italia è questa, e fintanto che non impareremo a ragionare con la nostra testa, continueremo a prestare attenzione al fiume di parole che s’accompagna ora alla polemica, ora alla retorica, ma mai o raramente ai bisogni reali del cittadino. In tutto questo, però, la questione del Crocefisso ha risuonato come qualcosa d’insolitamente forte e d’impatto.

crocefisso in aula.jpgEssa ha momentaneamente azzittito le altre scaramucce in essere e, soprattutto, ha rifocalizzato l’attenzione sull’Europa, inducendoci a superare gli angusti confini del nostro dibattito per ragionare invece sul ruolo di un’istituzione, l’Ue, solitamente mimetizzata dal nostro localismo  e dal vissuto stesso di cui essa gode: un’istituzione lontana, burocrate, di cui non si conosce – né si prova a conoscere- senso e ruolo. Il risultato? L’inconsapevole partecipazione ad un cammino istituzionale che – nostro malgrado – condiziona e condizionerà a fondo la nostra vita. Questa volta, però, le cose sono andate diversamente, e qualcosa s’è mosso nel triste copione dell’indifferenza. Infatti, più di quanto non sia accaduto in occasione della stesura della Costituzione europea, quando il richiamo alle origini Cristiane dell’Europa fu tema di rilevanza mediatica, la paventata rimozione del Crocifisso ha scosso l’opinione pubblica e scatenato il dibattito politico, trascinando con sé molteplici questioni e riflessioni: dalla laicità dello stato, ai temi dell’integrazione, dal significato stesso del Crocifisso, al ruolo, appunto, dell’Europa. Il tutto sviluppato in un intreccio di posizioni e rilievi, che hanno avuto il merito di portare alla luce la vera questione essenziale.

Oggi, in gioco, vi sono visioni profondamente diverse dell’uomo e della società, di cui l’Ue stessa potrebbe diventare il volano.

Da un lato, i sostenitori dell’uomo – individuo, impegnati a ricercarne la comune essenza, ed in questo focalizzati su ciò che deve essere universalmente riconosciuto, come i diritti; dall’altro coloro che ne prediligono invece una visione più ampia e complessa,  nella quale anche le dimensioni più particolari derivanti da specifiche vocazioni e tradizioni devono avere spazio e dignità. Da qui, anche una duplice visione della società, che per i primi è poco più che un “aggregato d’individui”, mentre per i secondi un corpo sociale coeso, di cui il concetto di “comunità” dà evidenza, testimoniando i naturali legami che l’animano.

E ciò perché l’identità delle persone non è un vezzo, ma una risorsa.  Reggendosi su una rappresentazione del sé in stretta continuità con la società di riferimento, e nutrendosi del diffuso e comune sentire che contraddistingue una società consapevole della propria storia e delle proprie origini, l’identità promuove, infatti, una coesione sociale altrimenti irraggiungibile, alimentando in seno alla società stessa scambi non meramente utilitaristici.

Ecco, dunque, in estrema sintesi, la dualità delle visioni oggi a confronto. Dualità che la presa di posizione dell’Europa ha contribuito a svelare, e che le parole – intelligenti e provocatorie- del consigliere leghista Daniele Belotti sulla presenza di S. Alessandro nell’aula consigliare di Bergamo hanno ulteriormente evidenziato. Davanti alla vicenda del Crocefisso, ciò che dobbiamo chiederci è se sia opportuno declassare la nostra identità allo status di accessorio folcloristico, e, soprattutto, se sia opportuno farlo in nome di una presunta difesa dei diritti e della laicità dello Stato altrimenti in pericolo. E per rispondere, proviamo a porci qualche domanda. Davvero crediamo che a causa di quel crocefisso vi siano nelle nostre scuole studenti discriminati o soggiogati ad un preciso credo? Davvero crediamo che in Italia, sempre a causa di quel crocefisso, qualcuno sia indotto a pensare che l’insegnamento – o la giustizia, giacché anche nei tribunali compare questo simbolo- discenda direttamente dalla divinità?

No, no, noi facciamo francamente fatica a crederlo, convinti che nel vissuto delle persone quel simbolo sia solo un simbolo di speranza per i credenti, e una presenza silente e quasi invisibile per i non credenti. Di contro, intravvediamo in questa forma di laicità, integralista e fobica verso il simbolo religioso, un laicismo inutile e insensato, che rischia soltanto d’indebolire altri ed essenziali valori, come l’identità o la coesione sociale che essa alimenta.

Antonella da Bruxelles

Il Crocefisso come uno Tsunamiultima modifica: 2010-02-01T23:13:00+01:00da leganord.b
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