Immigrazione e integrazione

Considerazioni da Eco di Bergamo del 21 /10/2010 :   Integrare, voce del verbo cosa sai fare

Un grande cubo davanti al Parlamento con su scritto: dignità. A Vienna in 35 mila hanno aderito all’appello di Caritas e Amnesty International in difesa di due sorelline gemelle del Kosovo. Un commando della polizia austriaca ha fatto irruzione in classe con armi alla mano e ha portato le due bambine in caserma. La psicosi di caccia allo straniero ha quindi raggiunto qui il suo acme. Le conseguenze sono le dimissioni del capo della polizia e il ritiro da parte del ministro degli Interni del decreto di espulsione. La patria degli Asburgo non è più felix e precipita sul banco degli accusati. La Francia lo è già per violazione dei diritti umani, adesso non è più sola. In tutta l’Europa si aggira lo spettro della paura: per sé e il proprio futuro e contro gli altri che lo possono minacciare.
Come affrontare il problema è il grande dibattito politico che coinvolge l’intera Unione. Due sono le questioni sul tappeto: come far fronte all’invecchiamento della popolazione e come impedire di essere travolti da immigrati che nessuno vuole ma che alla fine servono. Se a questo aggiungiamo il pericolo dell’islamizzazione e della minaccia terroristica, il cocktail è servito. Avanzano le pulsioni, gli istinti di conservazione. Le piccole patrie sono la risposta frammentata alla crisi dell’identità giuridica sulla quale il mondo occidentale ha costruito l’idea della società aperta. Lo Stato presuppone regole e quindi un codice d’onore che è etico. Se tutti rispettiamo modelli di comportamento concordati da un contratto sociale, il bene comune è assicurato.

Ma l’equilibrio è fragile e basta che alcuni lo violino perché l’intera comunità si senta minacciata e quindi opti per strumenti che diano più garanzie. L’appartenenza di lingua ,di tradizione culturale, di ascendenze storiche e quindi di sangue diventa la polizza di assicurazione contro la legge che appare anonima, se non ha un volto: quello dei miei consimili. Il «multikulti» è finito. È un dato di fatto. Si capisce come il presidente della Baviera Horst Seehofer batta su questo tasto.
L’immigrazione di origine islamica non è compatibile sin quando vi sono gruppi che non intendono integrarsi. L’introduzione dello studio obbligatorio della lingua tedesca porterà alla discriminazione di chi non la sa e quindi alla sua espulsione dal tessuto sociale. Il dibattito in Germania illustra meglio che in Francia dove l’Europa approderà. Quello che mette tutti d’accordo è la constatazione che la differenza non la fa l’appartenenza nazionale, ma la capacità di rendersi economicamente autonomi.
Gli italiani in tal senso sono un esempio. Ovunque nel mondo la loro è un’emigrazione riuscita. Di norma fanno i ristoratori e i camerieri, continuando a parlare la loro lingua: quindi oltre al cibo vendono un pezzo d’Italia. Con i clienti fraternizzano ma appena questi lasciano il locale le due strade si dividono. Un patto tra gentiluomini che fin quando non straborda in fatti di mafia funziona. Il segreto è questo: garantire indipendenza economica vuol dire integrare. Niente ingressi indiscriminati ma tarati sulle esigenze dell’economia. In Germania mancano ingegneri e personale specializzato.
Per questi i liberali hanno proposto il permesso a punti, i cristiano democratici parlano di manodopera qualificata in attesa che i propri disoccupati vengano istruiti e avviati ai processi sofisticati della produzione di alta gamma. Il modello è il Canada: non ti chiedo da dove vieni ma che cosa sai fare. La versione della Berliner Republik di Angela Merkel è in linea con il pragmatismo anglosassone. Una strada obbligata anche per l’Italia.

Immigrazione e integrazioneultima modifica: 2010-10-22T12:28:00+02:00da leganord.b
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