In questo particolare momento storico, in cui al nostro “corpus sociale” non resta che orientarsi guardando con paura e meraviglia alla stella polare della crisi dell´economia e dell´identità culturale, un nuovo terremoto scuote le coscienze.
Un articolo pubblicato su di un noto giornale on-line annuncia “I filosofi greci sarebbero federalisti, ma non voterebbero Bossi“.
Prendendo una pausa, lunga il tempo di questa riflessione, dai problemi contingenti, mi appresto a trascendere nell´empireo delle idee per osservare candidamente che, la presunzione di traslare il pensiero dei filosofi greci nella contingenza, mi risulta meno esilarante dei tentativi di cavalcare un tema ormai popolare e apprezzato depurandolo da quello che di fatto ne è stato il portavoce .
Da qui una riflessione che va alla di là della critica all´articolo in oggetto, per giungere alla ponderazione di un mal costume di una parte dell´informazione italiana.
Al coraggio intellettuale di appellarsi alla teoria di Vico dei corsi e ricorsi della storia, spesso, si sostituisce la paura di riconoscere la paternità di un’impostazione di pensiero che, oggi largamente condivisa, fino a pochi anni fa era considerata spaventosa. Umberto Bossi e la Lega Nord, quale partito più antico del panorama politico italiano, hanno innovato il vocabolario dei discorsi sulla gestione della democrazia.
Una Repubblica fa, i sostenitori del federalismo erano sovversivi vestiti di verde che tramavano di soppiatto disquisendo di autonomia regionale per minare l´ordine civile, quasi che le inefficienze e gli sprechi potessero essere riconosciuti come il solo collante dello stivale. Oggi il federalismo è per i media diventato esso stesso “Res Pubblica”, cosa comune e trasversale a patto che si allontani dal pericoloso brand politico leghista.
Mentre riflettiamo sugli orientamenti politici di Plutarco e Senofonte, cerchiamo di progredire dall´oscurantismo medievale e riconosciamo alla Lega Nord il ruolo di bussola della modernità.