Anche la Consulta…

Ci sono voluti anni di insistenze e di sacrifici dei nostri rappresentanti ma molte cose di buon senso dette e sostenute dalla Lega sono diventate ora patrimonio comune; molti addirittura pensano di averle “scoperte” in proprio…

In allegato, un interessante articolo tratto da “Federalismi” su una recente indicazione della Consulta :  la consulta raccomanda.pdf

LA CONSULTA  “RACCOMANDA”  L’ APPLICAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE E “INVITA”  ALLE RIFORME STRUTTURALI
* NOTA A MARGINE DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 193/2012)
 

Regione Lombardia e Federalismo fiscale

“il Premier Monti venga a riferire in Lombardia sul Federalismo fiscale”

In merito alle dichiarazioni dei rappresentanti della Conferenza delle Regioni, dell’Anci e dell’Upi sul federalismo fiscale a margine dell’audizione presso la Commissione per l’attuazione del Federalismo fiscale, è intervenuto il Presidente della Commissione Bilancio di Regione Lombardia, Fabrizio Cecchetti.

cecchetti,federalismo-fiscale,Milano, 22 febbraio 2012 – “L’allarme lanciato dai rappresentanti della Conferenza delle Regioni, di Upi e Anci – commenta Cecchetti – è assolutamente fondato e purtroppo rispecchia lo stato delle cose, dando pienamente ragione ai timori espressi fin da subito dalla Lega Nord. C’è da dire che i segnali non mancavano: la scomparsa del Ministero per il Federalismo ad esempio, è stato il primo campanello d’allarme sulle reali intenzioni di questo Governo. L’imposizione agli Enti territoriali di versare tutte le loro risorse nella Tesoreria unica dello Stato, vigliaccamente nascosta nel pacchetto liberalizzazioni, è stata poi la conferma finale della natura centralistica dell’Esecutivo. Fa piacere che il Governatore Errani e rappresentanti di Upi e Anci si siano finalmente accorti che i tecnici chiamati a “salvare la patria” stanno ammazzando il federalismo e non hanno nessuna intenzione di portare avanti le riforme necessarie al Paese, ciononostante mi auguro che alle dichiarazioni seguano anche fatti concreti.

A questo proposito, come Presidente della Commissione Bilancio di Regione Lombardia, è mia intenzione presentare nei prossimi giorni una mozione per invitare in audizione il Ministro dell’Economia, che guarda caso è proprio il Premier Monti, per riferire ai rappresentanti eletti dai lombardi le sue intenzioni in merito al federalismo fiscale.Vorremmo infatti che si mettessero le cose in chiaro una volta per tutte. Siamo veramente stufi – chiosa Cecchetti – di sentire politici e governanti dichiararsi federalisti a parole per poi dimostrare, con il proprio comportamento, l’esatto opposto.”

Il federalismo fiscale è (sarebbe) vicino ai primi traguardi

Arriva il censimento delle spese per i Comuni : per quelli che sprecano non ci sarà più alibi.

federalismo-fiscale,spesa-standard,commissione-federalismo,Il federalismo fiscale è vicino ai primi traguardi. Il cuore della riforma, è stato ripetuto più volte, è il superamento di quarant’anni di dominio incontrollato del criterio della spesa storica. Da questo punto di vista il federalismo fiscale è una riforma che si misura sulla distanza, i cui effetti non si vedono nell’immediato. Ma ci sono riforme die servono a tranquillizzare i mercati e gli investitori sulla volontà del nostro Paese di superare le sue più gravi anomalie, come ha rilevato Mario Monti nel suo discorso programmatico al Senato. Quando è stato emanato, il decreto che superava la spesa storica con i fabbisogni standard non ha fatto notizia. Forse è anche comprensibile, perché in quel decreto non c’erano numeri ma solo criteri complessi e un metodo di lavoro indicati alla Sose (che negli anni ha già prodotto gli studi di settore per 3 milioni di contribuenti) e all’Ifel per procedere alla standardizzazione delle sei funzioni fondamentali di comuni e province. A distanza di un anno, per effetto del lavoro svolto, iniziano ad arrivare i primi risultati, da sottopone al vaglio della Copaff e della Commissione bicamerale sul federalismo fiscale. Per febbraio-marzo dovrebbero essere pienamente operativi. Ora i dati inizieranno a fare notizia e si incomincerà a capire il federalismo fiscale.
Dall’approvazione della legge delega n.42/2009 sono passati più di due anni. Ma non è un tempo irragionevole, anzi è ragionevolissimo, perché si tratta di superare le incrostazioni di quarant’anni di spesa storica. Fare dall’oggi al domani avrebbe sicuramente prodotto guasti maggiori di quelli che si volevano superare. Il lavoro ha coinvolto i 6.700 comuni delle regioni ordinarie che hanno risposto tutti al primo questionario e ora consegneranno il secondo. Sono questionari impegnativi: l’ultimo, sulle funzioni di amministrazione generale, conta circa 400 domande, che spaziano dal personale fino ad arrivare alle partecipate. Ogni informazione è funzionale alla definizione del fabbisogno standard, che avviene quindi sulla base di un numero elevatissimo di variabili (la dimensione demografica, i modelli organizzativi e altro). Con la spesa storica nulla di tutto ciò è mai avvenuto ed esistono comuni che prendono fino a 6-7 volte il pro capite di altri senza che nessuno studio sul fabbisogno effettivo sia mai stato effettuato. Ora iniziano a essere disponibili i dati sulla funzione «polizia locale» ed emerge che la spesa è alquanto eterogenea: nella fascia dei comuni di 50 mila abitanti c’è una spesa che oscilla tra i 10 e i 120 euro prò capite; in quella dei comuni di 20 mila abitanti tra i 4 e i 170 euro prò capite. L’oscillazione dipende da numerosi fattori: gestione del personale, polizia locale armata o meno, convenzioni con le altre forze dell’ordine…  Si aprono importanti possibilità di razionalizzare la spesa: la standardizzazione offre un elemento nuovo alla politica e ai cittadini. Alla politica locale perché potrà considerare le best practice, alla politica nazionale perché potrà orientare la perequazione sui fabbisogni effettivi e non sugli sprechi, ai cittadini perché potranno misurare le proprie amministrazioni. (Luca Antonini – Panorama 50/11)

A volte anche la Rai…

.., magari ad orari impossibili, anche la Rai svolge un servizio pubblico… ed ecco dallo Studio TV5 della sede di Milano un interessante intervista sullo stato del FEDERALISMO FISCALE, che inizia così :

 http://leganordbergamo.myblog.it/media/01/02/1143477185.wmv


puoi rivedere tutta l’intervista sul sito Rai (copia e incolla il link sulla barra degli indirizzi) :

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-e34f7766-9e84-45f4-973b-75fe214b2ed2.html#p=0

Federalismo fiscale e casse comunali

Dagli investimenti alla spesa corrente lo scenario non cambia e il 2012 resta in prospettiva per tutti un annus horribilis… MA IL FEDERALISMO FISCALE, CHE E’ LEGGE DELLO STATO, SE SARA’ APPLICATO OBBLIGHERA’ TUTTI GLI ENTI PUBBLICI (BERGAMO COMPRESA) AD UNA VERA RIVOLUZIONE NELLA STESURA DEI BILANCI CHE DOVRANNO RISULTARE MOLTO PIU’ CHIARI E LEGGIBILI DI QUELLI EREDITATI DALLE VECCHIE AMMINISTRAZIONI E SOPRATUTTO CONFRONTABILI CON I COSTI STANDARD.

 http://leganordbergamo.myblog.it/media/02/00/388099233.wmv

La ricetta anti crisi del Pd? Triplicare le tasse

Il dossier della Lega: se in Bicamerale fossero passati gli emendamenti presentati dal centrosinistra, la pressione fiscale dei Comuni sui cittadini sarebbe aumenta da 11,5 a 35,8 miliardi di euro. Eppure l’opposizione continua a parlare di “federalismo delle imposte”

 

Una mitragliata di imposte aggiuntive, cedolari, addizionali, maggiorazioni. Arrivate in sequenza dal Pd, e proprio dagli stessi parlamentari che stanno attaccando il «federalismo delle tasse» portato a casa da Lega e Pdl. La Lega Nord ha preparato un contro-dossier, andando a ripescare gli emendamenti presentati dal Pd in bicamerale e che se fossero passati avrebbero «triplicato la pressione fiscale» dei comuni sui contribuenti. Arrivando, secondo le stime leghiste, alla cifra monstre di 35,8 miliardi di euro (limite massimo) di tasse municipali, rispetto agli 11,5 miliardi attuali.

L’onorevole Francesco Boccia («con questo federalismo aumentano il centralismo e le tasse», ha detto più volte) è l’autore dell’emendamento n. 23 che proponeva una cedolare secca sugli affitti al 23%, rispetto al 21% fissato dal testo della maggioranza. Questo 2% in più di tasse si sarebbe tradotto in 578 milioni di euro in più (ma di prelievo fiscale) per i proprietari di case in affitto. «Purtroppo il lupo perde il pelo ma non il vizio, soprattutto quello di mistificare la realtà» dice il vicepresidente leghista della Bicamerale, il senatore Paolo Franco, autore dello studio. Ma Boccia non è da solo nel Pd ad aver proposto emendamenti pro tasse al decreto sul federalismo. Anche Marco Stradiotto, senatore democratico ora molto attivo nella critica alla nuova legge («aumenteranno le tasse e non diminuiranno gli sprechi») si era fatto promotore di due emendamenti che avrebbero fatto lievitare la pressione fiscale.

Nel primo si parlava di una componente aggiuntiva dell’Imu (l’imposta municipale che assorbe la vecchia Ici sulla seconda casa e l’Irpef) da 20 a 150 euro per immobile. Siccome ogni imposta ha una sua valutazione d’impatto nella relazione tecnica degli uffici legislativi del Parlamento, si calcola che questo surplus democratico sarebbe costato fino a 8,9 miliardi di euro di incremento fiscale. Sempre Stradiotto, nell’emendamento n. 64, aveva proposto una nuova imposta, cioè un «canone municipale facoltativo per la manutenzione di spazi e fabbricati pubblici». L’ex sindaco di Bologna, Walter Vitali, uomo chiave del Pd nella Commissione per l’attuazione del federalismo, si è speso invece per far aggiornare i valori degli estimi catastali, secondo lui troppo bassi. In effetti sono fermi dal 2005 e con l’adeguamento all’inflazione proposto da Vitali si sarebbero recuperati circa 2,2 miliardi i euro, tra Irpef e Ici. Ma sempre dalle tasche dei contribuenti.

Il democratico bolognese non si è fermato lì ma ha proposto anche una addizionale sui diritti di imbarco e una maggiorazione del 50% per il canone pubblicitario applicato dai Comuni. L’addizionale sui diritti di imbarco significa un aggravio delle tasse che paghiamo alle autorità portuali (in mare o negli aeroporti) e che finiscono nel conto dei biglietti. Qui i contribuenti avrebbero smenato circa 82 milioni di euro in più rispetto alla tassazione vigente (rimasta invariata). Mentre l’aumento del canone per le aziende che usano spazi comunali per pubblicizzare i propri prodotti avrebbe subito un aumento notevolissimo, il 50%, pari a 85 milioni di euro in più per le casse dei Comuni, e in meno per i privati.

Un altro «tassatore» democratico, nel dossier della Lega, è l’onorevole Antonio Misiani. Lui aveva avuto due idee. La prima era di fissare l’aliquota dell’Imu non al 7,6 per mille, ma all’8,5 per mille. Non solo, Misiani ha anche proposto (con l’emendamento n. 56) un «contributo di soggiorno fino a 10 euro». Vale a dire una tassa di scopo, come quella introdotta dalla maggioranza, ma con due differenze. Quella del Pd non è facoltativa ma obbligatoria. Secondo: il decreto passato in Parlamento fissa il limite massimo (facoltativo) a disposizione dei sindaci in 5 euro a persona, quello di Misiani arrivava al doppio.

«Ho tralasciato la famosa proposta della “service tax” – spiega Franco – che reintroduceva surrettiziamente l’Ici sulla prima casa, quel bene che i cittadini, gli operai, hanno costruito con grande sacrificio, pagandola con il proprio onesto risparmio (già tassato!), magari dopo anni di onerosi finanziamenti bancari. Questa è la politica di contenimento della pressione fiscale che il Pd avrebbe attuato con il federalismo municipale». (Il Giornale,14-3-11)

Federalismo, l’ultimo decreto. Parte dell’Iva finisce alle Regioni

Gli enti locali potranno aumentare l’Irpef fino al 3%. Costi standard per la sanità
Tremonti esulta: «Una riforma che unisce». E Bossi: ora le elezioni si allontanano

Calderoli sorriso 1.jpgLa Lega incassa l’ultimo tassello del federalismo fiscale, ma sulla riforma Gianfranco Fini mantiene cautela (!!!).
Con il via libera preliminare del Consiglio dei ministri su fisco regionale e costi standard della sanità il governo incassa il primo dei cinque punti programmatici indicati da Berlusconi e completa la «rosa» dei sette decreti attuativi della riforma che conta di mandare in porto entro marzo. «Il processo è quasi terminato», fa sapere il ministro dell’Economia Giulio Tremonti e con il voto di oggi abbiamo realizzato il 90% del pacchetto», aggiunge Roberto Calderoli.
Ma l’accelerazione del governo che ha accorpato in unico decreto i tre settori del fisco regionale, di quello provinciale e della sanità, irrita i governatori. «Il governo ha sbagliato sul metodo», attacca il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani. Mentre il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, arriva a parlare di provvedimento «incostituzionale». Il decreto, che ora va all’esame dell’apposita commissione parlamentare prima del varo definitivo, rimodella le tasse di Regioni e Province.
I governatori potranno contare per i loro bilanci di una forte compartecipazione all’Iva. L’imposta sarà resa «territoriale» e distribuita in base ai consumi. Ma, soprattutto, servirà per alimentare il fondo per la solidarietà tra Regioni ricche e povere. C’è poi l’addizionale Irpef, che potrà essere manovrata fino ad arrivare al 3% nel 2015. Vengono poi cancellate sei microtasse. Arrivano poi i criteri per i costi standard della sanità, con tre Regioni che dovranno essere scelte come punto di riferimento.
Lo scontro si accende soprattutto sulle tasse. O meglio, sulla «manovrabilità da parte delle Regioni dell’addizionale Irpef, che per i governatori del Sud farà aumentare la pressione fiscale e, aggiunta al fatto che l’azzeramento dell’Irap riguarderà solo chi ha i conti in ordine, rappresenterà una «fiscalità di svantaggio» per il Meridione. Restano cauti i finiani che, con il presidente della commissione Lavoro della Camera, Silvano Moffa, sottolineano la necessità di mantenere gli «equilibri» nella garanzia dei servizi essenziali evitando di penalizzare il Mezzogiorno. Dal ministro del Tesoro arrivano, però delle rassicurazioni. Non ci sarà nessun aumento delle tasse, dice Tremonti aggiungendo che, tra l’altro, che si tratta di una riforma che «non divide ma unisce» il Paese.
L’aumento dell’Irpef, spiega il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli, escluderà le prime due fasce di reddito, dunque le Regioni «potrebbero aumentare l’Irpef per i redditi medio-alti del 2,1% nel 2015», ma «non potranno aumentare complessivamente la pressione fiscale». In ogni caso nell’idea del governo al rafforzamento dell’Irpef regionale dovrebbe corrispondere a una diminuzione di quella statale, che potrebbe arrivare con la riforma del fisco sulla quale, ha detto ieri Tremonti, presto «il governo chiederà la delega».
Ma l’opposizione teme che la riforma possa pesare sui cittadini. «Il federalismo così come è – attacca il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini – scassa lo Stato, fa aumentare le tasse e mette le mani nelle tasche dei cittadini per finanziare un progetto confuso che sovrappone le competenze e per di più fa aumentare la spesa pubblica».
Vanno risolti i nodi posti dalle Regioni, dice anche il leader del Pd, Pier Luigi Bersani, altrimenti «sono solo chiacchiere». Secondo i democratici, con Francesco Boccia, tra l’altro, l’accelerazione di oggi sui decreti attuativi è una «forzatura da parte di chi ha paura del voto». Non è così, invece, per la Lega che vede le elezioni «allontanarsi un po’».  L’approvazione dei decreti è, per Umberto Bossi, un «buon segno per il prosieguo della legislatura». La scelta, d’altra parte, sottolinea Bossi citando Tremonti, era tra «spezzare l’albero storto della finanza pubblica o raddrizzarlo, e si è scelto di raddrizzarlo». (da Eco di Begamo,8-10-2010)

Tre tappe per arrivare al fisco federale

Ecco il calendario del percorso di avvicinamento :

Otto anni, quasi due legislature. La strada che porta al federalismo – tracciata dalla bozza di decreto legislativo definito dal governo – vedrà il traguardo solo all’inizio del 2019, quando andrà a regime il nuovo fisco di regioni, province e comuni. Prima bisognerà superare due fasi: quella preparatoria, che si chiuderà con la quantificazione dei costi standard; e quella sperimentale, in cui il nuovo meccanismo verrà gradualmente messo in rodaggio.

In pratica, si tratta di abbandonare definitivamente il modello storico dei finanziamenti a piè di lista. Addio, dunque, ai trasferimenti statali che coprono tutte le spese decise da sindaci e governatori. Sarà stabilito il costo “giusto” delle prestazioni essenziali – quali la sanità o la scuola – e in base a quel parametro sarà modulato l’intervento centrale. Quindi, se una regione spenderà più del dovuto (perché ha amministratori spreconi o vuole offrire più servizi), dovrà cavarsela da sola. Al contrario, le aree povere che non ricaveranno dai propri tributi le risorse sufficienti a finanziare i servizi di base, potranno contare sull’àncora di salvataggio del fondo perequativo.

Il sistema, una volta a regime, promette di innescare una selezione virtuosa delle classi dirigenti, perché renderà ancora più trasparente la governance a livello locale. E anche perché gli amministratori avranno la possibilità di manovrare la leva tributaria: per esempio, riducendo o eliminando l’Irap, oppure aumentando l’addizionale Irpef fino al 3% in più.

Nella fase di passaggio sarà decisiva la funzione della compartecipazione ai tributi nazionali. Oggi le regioni ricevono una grossa fetta dell’Iva (44,7%), ma questo importo viene suddiviso in modo tale da farlo funzionare come un “trasferimento mascherato”.

A dimostrarlo ci sono i numeri riportati nelle tabelle, estrapolate dal “Cruscotto di indicatori socioeconomici”, «uno strumento che conta 55 indicatori – spiega Federico Caner, capogruppo Lega Nord della Regione Veneto, che lo ha elaborato in collaborazione con Università Bocconi e Centro studi Sintesi – che verrà messo a disposizione, in via telematica, dei gruppi consiliari della Lega, presenti in nove regioni, per aiutarli nelle loro decisioni amministrative».

Se si guarda il peso dei tributi propri sul totale delle entrate, si scopre che oggi la regione con il più elevato indice di autonomia territoriale è il Lazio, seguito da Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte. In queste zone, la maggiore ricchezza delle basi imponibili e le scelte di politica fiscale fanno sì che il prelievo locale copra almeno il 45% delle entrate complessive. In Basilicata, invece, l’incidenza dei tributi propri sul totale è appena superiore al 20 per cento. Se però si include anche la compartecipazione, la Basilicata raggiunge il Lazio. Detto diversamente, la regione lucana riceve 1.719 euro per ogni abitante, contro i 741 del Lazio e i 1.037 della Lombardia.

Tutte queste cifre saranno rimodulate, anche per effetto del diverso criterio che dal 2013 detterà la suddivisione del gettito Iva, tenendo conto del luogo in cui avviene il consumo. L’adeguamento, però, sarà graduale: dal 2014 dovrebbe entrare in funzione il fondo perequativo, ma per il primo anno le risorse saranno ancora assegnate a copertura dei costi storici, mentre per i quattro anni successivi si avvicineranno progressivamente al livello dei costi standard. Indicazioni, queste, che attendono conferme dall’incontro governo-regioni in calendario giovedì.

Dalla partita non sono esclusi i comuni, che anzi saranno i primi a testare l’effetto federalismo: lo schema di Dlgs varato prima delle ferie prevede per gennaio dell’anno prossimo il debutto della cedolare secca sugli affitti.

 

Federalismo, i tempi lunghi non vengono per nuocere

Se il calendario istituzionale non coincide o, peggio, entra in rotta di collisione con quello politico, quanti pericoli corre il federalismo?
Ne corre uno, soprattutto. Quello di partorire, alla fine, una gigantesca soluzione pasticciata, buona per tutti i gusti, dove tutti si riconoscono per quota a seconda di ciò che sono riusciti ad ottenere. Il rischio è che si profili un modello confuso di federalismo in parte “competitivo” (sul terreno del rapporto tra pressione fiscale e qualità dei servizi offerti), in parte “solidale e cooperativo” per far fronte ai divari persistenti in termini di reddito, servizi e infrastrutture e garantire a tutti i territori uguali punti di partenza.

Ma un ibrido tra continuismo e rivoluzione, qualcosa a metà strada tra la spinta innovatrice del Nord e la resistenza al cambiamento del Sud, è cosa ben diversa da un accordo equilibrato nell’interesse di un Paese che ha necessità di razionalizzare e mettere sotto controllo una grande fetta della finanza pubblica.
Dove al controllo, come ha spiegato il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, si abbina l’aggettivo “democratico”, quello cioè esercitato dai cittadini sui livelli di governo più vicini alla loro vita secondo la sequenza lineare “vedo-voto-pago”.
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S’intende: nulla è compromesso. Parliamo, per l’entrata a regime della riforma, di un orizzonte compreso tra il 2016 ed il 2019. Anche se la partita si sta già scaldando: la tempistica della legge delega approvata nel 2009 (con buono spirito bipartisan) prevede che i drecreti delegati attuativi siano varati entro maggio 2011. Potranno esserci poi i decreti correttivi ed è già previsto un periodo di transizione di cinque anni per consentire alle Regioni di adattarsi al criterio dei costi standard che sostituirà quello della spesa storica. Ma il rischio c’è, e va disinnescato.

Il quadro politico è improvvisamente mutato, e nella maggioranza che sostiene il governo Berlusconi la questione del federalismo, intrecciata al problema del sostegno al Sud (i tagli al Fondo aree sottosviluppate, ma anche il fatto che il Mezzogiorno non riesce a spendere e lascia le risorse disponibili in cassa), è diventata terreno di scontro strategico.

Semplificando. La Lega vuole accelerare quanto più possibile la svolta federalista e, mettendo nel conto delle ipotesi credibili la possibilità di elezioni anticipate nella primavera 2011, punta ad anticipare il varo dei decreti attuativi. Sul fronte opposto, i finiani (sulla scia del discorso del presidente della Camera a Mirabello) giocano la carta del “solidarismo” attento al Sud (in sintonia con altre forze d’ispirazione centrista, a partire dall’Udc, critico col progetto federalista). In mezzo il premier Silvio Berlusconi, che punta ad allargare la maggioranza (con grande attenzione alle componenti meridionali del variegato mondo centrista) mantenendo salda l’alleanza con la Lega di Umberto Bossi.

È da questo mix di spinte e controspinte che può nascere l’ibrido rivoluzionar-continuista. Esemplare la battaglia sotterranea che si sta snodando sui costi standard per la sanità e sulla scelta delle regioni-benchmark, quelle indicate in regola con i conti di asl e ospedali. Costi standard, sì, ma fino a un certo punto, non bastando forse nemmeno il fondo perequativo: saranno più alti a Sud, magari facendo entrare nel piccolo lotto delle regioni-riferimento una regione del Mezzogiorno, per addolcire la manovra?
C’è il tempo per evitare di far scivolare la riforma federalista sul piano inclinato delle soluzioni pasticciate. Pensiamoci bene prima di infilarci nel tunnel dei negoziati opachi con un occhio rivolto a questa o quella esigenza particolare (e spesso clientelare). Da Nord a Sud. Il federalismo può, anzi deve essere “solidale” ma non per questo deve rinunciare a essere efficiente, competitivo, responsabile.

Competizione non è sinonimo di “balcanizzazione” ed esasperazione delle differenze. Può al contrario, se corretteamente impostata e regolata, essere la strada che porta a una svolta. Il Sud lamenta una mancanza di investimenti? Provino le regioni ad abolire l’odiata Irap, tassa che con l’Iva serve a coprire la spesa sanitaria. Possono farlo, potendo contare sul fondo perequativo per la sanità e potendo eventualmente tagliare la spesa. Basta scegliere, assumendosene in autonomia la piena responsabilità. Questo sarebbe federalismo vero.

 

«Tagli all’Irap possibili solo con risparmi di spesa»

I governatori avranno la piena manovrabilità dell’Irap solo se risparmieranno sulla spesa. E non potranno scaricare sull’addizionale Iperf gli eventuali tagli all’imposta sulle attività produttive. A spiegarlo è Luca Antonini, presidente della commissione tecnica per l’attuazione del federalismo fiscale (Copaff), che spiega al Sole 24 Ore i meccanismi del fisco regionale.

La bozza di decreto assegna alle regioni meno Iva e più Irpef rispetto a oggi. Qual è la ratio?
Oggi la sanità è finanziata in una misura molto importante con una compartecipazione ‘ll’Iva. Il cittadino la versa pensando a un’imposta che finanzia la spesa statale e invece quasi la metà va alla sanità e dunque alle regioni. Ma così non c’è né trasparenza né correlazione del tributo. Inoltre, l’aliquota di compartecipazione, fissata al 25,7% nel decreto Giarda del 2000, è stata rimodulata anno per anno fino arrivare al 44% di oggi. È diventata un tappo rispetto alla spesa regionale. Ora si vuole invertire questa logica, stabilendo una quota fissa di Iva più una compartecipazione all’Irpef visibile in dichiarazione affinché il cittadino si renda conto di ciò che paga.

Oltre alla compartecipazione la bozza prevede anche un’addizionale Irpef. Fino al 2013, però, quando la prima scomparirà. È così?
Da un certo momento la compartecipazione diventa la base di un’addizionale Irpef fissa a cui se ne aggiungerà una variabile fino al 3% in modo che ci si adegui a quello che dice la legge 42 a regime. Cioè che dopo l’introduzione dei costi standard la fonte che alimenta i Lea è la compartecipazione Iva più l’addizionale Irpef più gli altri tributi propri delle regioni.

E l’ Irpef statale sarà ridotta in egual misura?
Esatto.

I governatori potranno azzerare l’Irap…
Sì, ma va garantito il finanziamento della sanità per cui non puoi abbassarla se non garantisci i Lea. Se lo fai risparmiando sulle spese puoi ridurla. Si riprende ciò che è previsto in manovra per l’Irap “nuove imprese ” al Sud. In più verrà stabilito che non puoi abbassare l’Irap se hai un’addizionale Irpef superiore all’1,4% né potrai superare l’1,4% se hai ridotto l’Irap. Insomma, la diminuzione dell’Irap dovrà derivare dai risparmi di spesa.

Dal 2013 l’addizionale Irpef variabile potrà salire fino al 3%. Che poteri avranno le regioni?
Potranno introdurre detrazioni per familiari a carico. C’è un meccanismo innovativo per i voucher per gli anziani o i buoni scuola. Oggi paghi le tasse in dichiarazione più le addizionali, le versi a Roma e poi eventualmente la regione te le restituisce dopo che hai presentato un modulo. Ma è molto più razionale se detrai il buono direttamente dall’Irpef regionale e tieni direttamente in tasca i risparmi. Non paghi più il costo burocratico dell’operazione e ne guadagni anche in termini di dignità personale perché non devi più chiedere e i soldi che ti restano in tasca da subito.

Innalzando l’addizionale non c’è il rischio che aumenti la pressione fiscale?
Nel 2013 partiranno i costi standard e avremo i fabbisogni di comuni e province, per cui sulla spesa passeremo da un sistema opaco a uno trasparente. Il cittadino sa che la regione deve spendere x. Se gli chiede di più è evidente che spreca. E allora l’amministratore non ha scampo perché diventa trasparente ciò che spende e ciò che spreca. Piuttosto la nuova addizionale innescherà una competizione al ribasso e toglierà giustificazione ai ripiani statali. In più ci sarà una forte semplificazione visto che spariranno sei imposte minori, come la tassa sull’abilitazione professionale o l’imposta sulla concessione del patrimonio disponibile dello Stato.

A che punto è il decreto sui costi standard?
È quasi pronto. Verranno prese come benchmark le regioni che sono in equilibrio economico e due anni prima hanno ottenuto la bollinatura sulla qualità del loro sistema sanitario. Quindi non solo chi garantisce la copertura alla spesa sanitaria ma anche chi ha una spesa di qualità.

Ci saranno dentro anche Emilia Romagna e Veneto?
L’operazione partirà nel 2013 e dunque ci saranno quelle che avranno questi requisiti nel 2011. In teoria può rientrarvi qualsiasi regione che attui un comportamento virtuoso da qui al 2011.

Che strada si seguirà per istruzione e assistenza?
Ci si sta ragionando. Sono settori nuovi dove non c’è l’esperienza maturata in campo sanitario.

Prossime tappe?
Giovedì in Copaff lavoreremo sui costi standard sanitari, concretizzando il lavoro contenuto nel documento approvato prima dell’estate. Poi inizieremo a ragionare sui meccanismi premiali e sanzionatori per gli amministratori.   (dal Sole24ore, 20-9-10)