Ecco il calendario del percorso di avvicinamento :
Otto anni, quasi due legislature. La strada che porta al federalismo – tracciata dalla bozza di decreto legislativo definito dal governo – vedrà il traguardo solo all’inizio del 2019, quando andrà a regime il nuovo fisco di regioni, province e comuni. Prima bisognerà superare due fasi: quella preparatoria, che si chiuderà con la quantificazione dei costi standard; e quella sperimentale, in cui il nuovo meccanismo verrà gradualmente messo in rodaggio.
In pratica, si tratta di abbandonare definitivamente il modello storico dei finanziamenti a piè di lista. Addio, dunque, ai trasferimenti statali che coprono tutte le spese decise da sindaci e governatori. Sarà stabilito il costo “giusto” delle prestazioni essenziali – quali la sanità o la scuola – e in base a quel parametro sarà modulato l’intervento centrale. Quindi, se una regione spenderà più del dovuto (perché ha amministratori spreconi o vuole offrire più servizi), dovrà cavarsela da sola. Al contrario, le aree povere che non ricaveranno dai propri tributi le risorse sufficienti a finanziare i servizi di base, potranno contare sull’àncora di salvataggio del fondo perequativo.
Il sistema, una volta a regime, promette di innescare una selezione virtuosa delle classi dirigenti, perché renderà ancora più trasparente la governance a livello locale. E anche perché gli amministratori avranno la possibilità di manovrare la leva tributaria: per esempio, riducendo o eliminando l’Irap, oppure aumentando l’addizionale Irpef fino al 3% in più.
Nella fase di passaggio sarà decisiva la funzione della compartecipazione ai tributi nazionali. Oggi le regioni ricevono una grossa fetta dell’Iva (44,7%), ma questo importo viene suddiviso in modo tale da farlo funzionare come un “trasferimento mascherato”.
A dimostrarlo ci sono i numeri riportati nelle tabelle, estrapolate dal “Cruscotto di indicatori socioeconomici”, «uno strumento che conta 55 indicatori – spiega Federico Caner, capogruppo Lega Nord della Regione Veneto, che lo ha elaborato in collaborazione con Università Bocconi e Centro studi Sintesi – che verrà messo a disposizione, in via telematica, dei gruppi consiliari della Lega, presenti in nove regioni, per aiutarli nelle loro decisioni amministrative».
Se si guarda il peso dei tributi propri sul totale delle entrate, si scopre che oggi la regione con il più elevato indice di autonomia territoriale è il Lazio, seguito da Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte. In queste zone, la maggiore ricchezza delle basi imponibili e le scelte di politica fiscale fanno sì che il prelievo locale copra almeno il 45% delle entrate complessive. In Basilicata, invece, l’incidenza dei tributi propri sul totale è appena superiore al 20 per cento. Se però si include anche la compartecipazione, la Basilicata raggiunge il Lazio. Detto diversamente, la regione lucana riceve 1.719 euro per ogni abitante, contro i 741 del Lazio e i 1.037 della Lombardia.
Tutte queste cifre saranno rimodulate, anche per effetto del diverso criterio che dal 2013 detterà la suddivisione del gettito Iva, tenendo conto del luogo in cui avviene il consumo. L’adeguamento, però, sarà graduale: dal 2014 dovrebbe entrare in funzione il fondo perequativo, ma per il primo anno le risorse saranno ancora assegnate a copertura dei costi storici, mentre per i quattro anni successivi si avvicineranno progressivamente al livello dei costi standard. Indicazioni, queste, che attendono conferme dall’incontro governo-regioni in calendario giovedì.
Dalla partita non sono esclusi i comuni, che anzi saranno i primi a testare l’effetto federalismo: lo schema di Dlgs varato prima delle ferie prevede per gennaio dell’anno prossimo il debutto della cedolare secca sugli affitti.
Federalismo, i tempi lunghi non vengono per nuocere
Se il calendario istituzionale non coincide o, peggio, entra in rotta di collisione con quello politico, quanti pericoli corre il federalismo?
Ne corre uno, soprattutto. Quello di partorire, alla fine, una gigantesca soluzione pasticciata, buona per tutti i gusti, dove tutti si riconoscono per quota a seconda di ciò che sono riusciti ad ottenere. Il rischio è che si profili un modello confuso di federalismo in parte “competitivo” (sul terreno del rapporto tra pressione fiscale e qualità dei servizi offerti), in parte “solidale e cooperativo” per far fronte ai divari persistenti in termini di reddito, servizi e infrastrutture e garantire a tutti i territori uguali punti di partenza.
Ma un ibrido tra continuismo e rivoluzione, qualcosa a metà strada tra la spinta innovatrice del Nord e la resistenza al cambiamento del Sud, è cosa ben diversa da un accordo equilibrato nell’interesse di un Paese che ha necessità di razionalizzare e mettere sotto controllo una grande fetta della finanza pubblica.
Dove al controllo, come ha spiegato il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, si abbina l’aggettivo “democratico”, quello cioè esercitato dai cittadini sui livelli di governo più vicini alla loro vita secondo la sequenza lineare “vedo-voto-pago”.
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S’intende: nulla è compromesso. Parliamo, per l’entrata a regime della riforma, di un orizzonte compreso tra il 2016 ed il 2019. Anche se la partita si sta già scaldando: la tempistica della legge delega approvata nel 2009 (con buono spirito bipartisan) prevede che i drecreti delegati attuativi siano varati entro maggio 2011. Potranno esserci poi i decreti correttivi ed è già previsto un periodo di transizione di cinque anni per consentire alle Regioni di adattarsi al criterio dei costi standard che sostituirà quello della spesa storica. Ma il rischio c’è, e va disinnescato.
Il quadro politico è improvvisamente mutato, e nella maggioranza che sostiene il governo Berlusconi la questione del federalismo, intrecciata al problema del sostegno al Sud (i tagli al Fondo aree sottosviluppate, ma anche il fatto che il Mezzogiorno non riesce a spendere e lascia le risorse disponibili in cassa), è diventata terreno di scontro strategico.
Semplificando. La Lega vuole accelerare quanto più possibile la svolta federalista e, mettendo nel conto delle ipotesi credibili la possibilità di elezioni anticipate nella primavera 2011, punta ad anticipare il varo dei decreti attuativi. Sul fronte opposto, i finiani (sulla scia del discorso del presidente della Camera a Mirabello) giocano la carta del “solidarismo” attento al Sud (in sintonia con altre forze d’ispirazione centrista, a partire dall’Udc, critico col progetto federalista). In mezzo il premier Silvio Berlusconi, che punta ad allargare la maggioranza (con grande attenzione alle componenti meridionali del variegato mondo centrista) mantenendo salda l’alleanza con la Lega di Umberto Bossi.
È da questo mix di spinte e controspinte che può nascere l’ibrido rivoluzionar-continuista. Esemplare la battaglia sotterranea che si sta snodando sui costi standard per la sanità e sulla scelta delle regioni-benchmark, quelle indicate in regola con i conti di asl e ospedali. Costi standard, sì, ma fino a un certo punto, non bastando forse nemmeno il fondo perequativo: saranno più alti a Sud, magari facendo entrare nel piccolo lotto delle regioni-riferimento una regione del Mezzogiorno, per addolcire la manovra?
C’è il tempo per evitare di far scivolare la riforma federalista sul piano inclinato delle soluzioni pasticciate. Pensiamoci bene prima di infilarci nel tunnel dei negoziati opachi con un occhio rivolto a questa o quella esigenza particolare (e spesso clientelare). Da Nord a Sud. Il federalismo può, anzi deve essere “solidale” ma non per questo deve rinunciare a essere efficiente, competitivo, responsabile.
Competizione non è sinonimo di “balcanizzazione” ed esasperazione delle differenze. Può al contrario, se corretteamente impostata e regolata, essere la strada che porta a una svolta. Il Sud lamenta una mancanza di investimenti? Provino le regioni ad abolire l’odiata Irap, tassa che con l’Iva serve a coprire la spesa sanitaria. Possono farlo, potendo contare sul fondo perequativo per la sanità e potendo eventualmente tagliare la spesa. Basta scegliere, assumendosene in autonomia la piena responsabilità. Questo sarebbe federalismo vero.
«Tagli all’Irap possibili solo con risparmi di spesa»
I governatori avranno la piena manovrabilità dell’Irap solo se risparmieranno sulla spesa. E non potranno scaricare sull’addizionale Iperf gli eventuali tagli all’imposta sulle attività produttive. A spiegarlo è Luca Antonini, presidente della commissione tecnica per l’attuazione del federalismo fiscale (Copaff), che spiega al Sole 24 Ore i meccanismi del fisco regionale.
La bozza di decreto assegna alle regioni meno Iva e più Irpef rispetto a oggi. Qual è la ratio?
Oggi la sanità è finanziata in una misura molto importante con una compartecipazione ‘ll’Iva. Il cittadino la versa pensando a un’imposta che finanzia la spesa statale e invece quasi la metà va alla sanità e dunque alle regioni. Ma così non c’è né trasparenza né correlazione del tributo. Inoltre, l’aliquota di compartecipazione, fissata al 25,7% nel decreto Giarda del 2000, è stata rimodulata anno per anno fino arrivare al 44% di oggi. È diventata un tappo rispetto alla spesa regionale. Ora si vuole invertire questa logica, stabilendo una quota fissa di Iva più una compartecipazione all’Irpef visibile in dichiarazione affinché il cittadino si renda conto di ciò che paga.
Oltre alla compartecipazione la bozza prevede anche un’addizionale Irpef. Fino al 2013, però, quando la prima scomparirà. È così?
Da un certo momento la compartecipazione diventa la base di un’addizionale Irpef fissa a cui se ne aggiungerà una variabile fino al 3% in modo che ci si adegui a quello che dice la legge 42 a regime. Cioè che dopo l’introduzione dei costi standard la fonte che alimenta i Lea è la compartecipazione Iva più l’addizionale Irpef più gli altri tributi propri delle regioni.
E l’ Irpef statale sarà ridotta in egual misura?
Esatto.
I governatori potranno azzerare l’Irap…
Sì, ma va garantito il finanziamento della sanità per cui non puoi abbassarla se non garantisci i Lea. Se lo fai risparmiando sulle spese puoi ridurla. Si riprende ciò che è previsto in manovra per l’Irap “nuove imprese ” al Sud. In più verrà stabilito che non puoi abbassare l’Irap se hai un’addizionale Irpef superiore all’1,4% né potrai superare l’1,4% se hai ridotto l’Irap. Insomma, la diminuzione dell’Irap dovrà derivare dai risparmi di spesa.
Dal 2013 l’addizionale Irpef variabile potrà salire fino al 3%. Che poteri avranno le regioni?
Potranno introdurre detrazioni per familiari a carico. C’è un meccanismo innovativo per i voucher per gli anziani o i buoni scuola. Oggi paghi le tasse in dichiarazione più le addizionali, le versi a Roma e poi eventualmente la regione te le restituisce dopo che hai presentato un modulo. Ma è molto più razionale se detrai il buono direttamente dall’Irpef regionale e tieni direttamente in tasca i risparmi. Non paghi più il costo burocratico dell’operazione e ne guadagni anche in termini di dignità personale perché non devi più chiedere e i soldi che ti restano in tasca da subito.
Innalzando l’addizionale non c’è il rischio che aumenti la pressione fiscale?
Nel 2013 partiranno i costi standard e avremo i fabbisogni di comuni e province, per cui sulla spesa passeremo da un sistema opaco a uno trasparente. Il cittadino sa che la regione deve spendere x. Se gli chiede di più è evidente che spreca. E allora l’amministratore non ha scampo perché diventa trasparente ciò che spende e ciò che spreca. Piuttosto la nuova addizionale innescherà una competizione al ribasso e toglierà giustificazione ai ripiani statali. In più ci sarà una forte semplificazione visto che spariranno sei imposte minori, come la tassa sull’abilitazione professionale o l’imposta sulla concessione del patrimonio disponibile dello Stato.
A che punto è il decreto sui costi standard?
È quasi pronto. Verranno prese come benchmark le regioni che sono in equilibrio economico e due anni prima hanno ottenuto la bollinatura sulla qualità del loro sistema sanitario. Quindi non solo chi garantisce la copertura alla spesa sanitaria ma anche chi ha una spesa di qualità.
Ci saranno dentro anche Emilia Romagna e Veneto?
L’operazione partirà nel 2013 e dunque ci saranno quelle che avranno questi requisiti nel 2011. In teoria può rientrarvi qualsiasi regione che attui un comportamento virtuoso da qui al 2011.
Che strada si seguirà per istruzione e assistenza?
Ci si sta ragionando. Sono settori nuovi dove non c’è l’esperienza maturata in campo sanitario.
Prossime tappe?
Giovedì in Copaff lavoreremo sui costi standard sanitari, concretizzando il lavoro contenuto nel documento approvato prima dell’estate. Poi inizieremo a ragionare sui meccanismi premiali e sanzionatori per gli amministratori. (dal Sole24ore, 20-9-10)