La giungla delle coop con titolari ignari e lavoratori fantasma.

images.jpgSfruttano sistemi mutualistici ed evadono. Quando hanno fondato la coop, sono stati anche gentili: visto che lei era la presidente avevano deciso di dare il suo nome alla ditta. Peccato che la signora di Calcio, 82 anni, non ne sapesse niente. Non sapeva di avere a che fare con l’impresa, non sapeva di avere alle sue dipendenze 140 persone e tantomeno di dovere organizzare dei lavori edili. Ma questo non è un problema, visto che tanto la ditta, hanno scoperto gli ispettori dell’Inps quando l’hanno controllata, non ha nessun cantiere aperto. Benvenuti nel mondo delle finte cooperative, delle aziende che hanno dipendenti ma non li usano, che nascono e muoiono in pochi mesi, che cambiano nome ogni anno, che hanno come presidente dei nullatenenti, che producono documenti falsi, che sfruttano i lavoratori e non pagano loro nemmeno i contributi. «Solo nel settore del facchinaggio, che con le pulizie rappresentano i due principali settori di attività precisa Alberto Civera, segretario della Fit-Cisl le vere cooperative di lavoro bergamasche si contano sulle dita di due mani». Nell’ultimo anno l’Inps ne ha controllate a campione 45, trovandone regolari solo 18. Tutte le altre si nascondono nella nebbia formata da una contabilità opaca che sfrutta ogni piega di una legislazione pensata per favorire il sistema mutualistico ma che è diventata una scusa per l’evasione e lo sfruttamento più sfrenati. Il primo boom delle imprese fittizie (tra coop e ditte individuali) risale al 2005-2006, ed erano quelle create da malviventi di mezza tacca spesso collegati con malavita organizzata che le usavano per farsi pagare dei clandestini ai quali fornivano fìnte buste paga che servivano per ottenere il permesso di soggiorno. Poi è arrivata la crisi. «Con la crisi gli strozzini prosperano commenta Civera e le false coop si sono moltiplicate». Ora sono suddivise in tre categorie: quelle che certificano lavoro inesistente, quelle che piazzano personale in modo illecito (praticando un caporalato organizzato) e quelle che lavorano davvero. «Quelle che erano stamperie di finte buste paga riassume il maggiore Emanuele Chietera, comandante della Guardia di Finanza di Treviglio si sono sviluppate fino a mettere a segno una lunga serie di abusi. In più c’è un incremento di ditte che si trasformano in cooperative in modo da non avere più personale direttamente alle proprie dipendenze e non avere i relativi problemi. Ed effettuare evasioni fiscali e contributive anche di grossi importi». I trucchi per non pagare tasse e soprattutto i contributi ai lavoratori sono tanti. Per esempio la compensazione di credito e debito. Se una ditta deve versare una somma allo Stato ma deve anche incassare un credito per degli arretrati, la legge consente una compensazione: le due somme si annullano o si paga giusto la differenza. Succede quindi che qualcuno che dovrebbe versare i contributi produca fatture false che generano crediti Iva per somme simili e quindi non paghi un euro, contando sul fatto che i controlli (quando e se ci saranno) arriveranno come minimo due anni dopo. Se una ditta è regolare viene scoperta. Ma le ditte fantasma hanno una durata di vita di un paio d’anni, e nel frattempo la coop è sparita, ha traslocato e cambiato nome, lasciando solo il responsabile legale, spesso un nullatenente sul quale non è possibile rifarsi. Ma non è finita. Perché se la coop non paga i contributi scatta l’automaticità delle prestazioni. Il che significa che i contributi li versa lo Stato. E con quelli arrivano i diritti a malattia, mobilità, cassa integrazione, e nel caso degli irregolari anche la residenza e quindi i servizi comunali. Perché se a gestire il gioco in genere sono italiani (nella Bassa per esempio è molto attiva una famiglia calabrese) la manodopera è straniera. Le ultime tre coop irregolari scoperte avevano 150, 80 e 57 dipendenti, tutti immigrati del Maghreb e dell’Africa subsahariana. «A volte riusciamo a scoprirne una prima che chiuda dice un ispettore Inps . Ma anche in pochi mesi ha già fatto un danno da milioni di euro alle casse dello Stato». (Corriere della Sera,18-10-13)

L’ Ipercoop in Sicilia assume solo residenti. E la Padania: «Bravi». Aldo Soldi Per le posizioni di responsabilità, al Sud come al Nord, prendiamo sempre gente del posto

ROMA – «È vero, siamo leghisti. Ma in tutte le regioni e da sempre». Se la cava con una battuta Aldo Soldi, presidente delle Coop, dopo il titolo della Padania che in prima pagina parla di «Svolta leghista all’ Ipercoop» perché «in Sicilia assume solo residenti». Cosa succede nelle Coop rosse, il colosso della grande distribuzione con 56 mila dipendenti e oltre 1.300 punti vendita, vicino al Pci e ai suoi successori? Scrive il quotidiano del Carroccio che in Sicilia Ipercoop è alla ricerca di 20 giovani da inserire in posizione di vertice, non alla cassa o al bancone ma come responsabile acquisti o direttori di un centro commerciale. I requisiti? Devono essere laureati o diplomati e, in ogni caso, essere residenti nell’ isola. Tutto vero, ma non è una novità. «Almeno per le posizioni di responsabilità ci siamo sempre comportati così, al Sud come al Nord» dice Soldi che ricorda come ad esempio per i tre punti Coop aperti nel 2008 a Pinerolo, Biella e Valenza, siano stati assunti 300 piemontesi. La politica non c’ entra, dice, è solo business. «La ragione è che queste persone lavorano a diretto contatto con le popolazioni del territorio. E quindi, se conoscono i loro gusti, funzionano meglio». Ma c’ è anche un’ altra spiegazione. Quando apre un grande centro non è che i commercianti della zona facciano i salti di gioia. La concorrenza della grande distribuzione spesso li costringe a chiudere. «È vero – riconosce Soldi – un grande centro ha sempre un certo impatto sul territorio. Per questo ci sembra doveroso assumere gente del luogo». L. Sal.-Salvia Lorenzo

(14 marzo 2009) – Corriere della Sera

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