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Le sanzioni ai Comuni: si spara nel mucchio
«Mal Comune» mezzo gaudio? Eh, sì. Quasi quasi conviene amministrare malamente, che tanto a pagare sono sempre i soliti noti. Lo sbuffo italiota (e bergamasco) è in agguato, ma ce n’è anche un po’ motivo. Perché Patto di stabilità e spending review non colpiscono – come dovrebbero – gli sprechi. Affossano invece le autonomie territoriali. La Lombardia, ad esempio, si troverà a subire tagli maggiori che tutti i ministeri messi assieme. Si spara nel mucchio, a prescindere da dove o meno si buttino davvero via i soldi di tutti. E a rimanere esangui sono gli enti locali, soprattutto i primi della classe (dal punto di vista dei bilanci), come Bergamo. Qui i municipi che sgarrano non lo fanno per spendacciare, ma per necessità. Tipo? Pagare le imprese per le opere pubbliche, dando anche una spintarella a quell’economia locale ancora molto sofferente. Le novità sono ancora più inquietanti per le istituzioni più vicine al territorio. Da una parte il decreto del Viminale del 26 luglio distribuisce un milione di euro di multe ai sei paesi bergamaschi che l’anno scorso non hanno rispettato il tetto di spesa stabilito dalla finanza pubblica. I vincoli per l’anno prossimo si annunciano ancora più stringenti (le multe, che fin qui non potevano superare il 3% delle spese correnti, potranno essere pari alla quota sforata). Dall’altra il decreto del governo sulla revisione della spesa pubblica, stando alle previsioni, comporta per le casse di Palafrizzoni un taglio di 1,3 milioni di euro quest’anno e di altri 5,2 nel 2013. Due sforbiciate che andrebbero ad aggiungersi ai 10,3 milioni già tolti. A questo punto, fatto salvo che il rigore nei conti è un europresupposto imprescindibile, viene spontaneo chiedersi: con quale criterio vengono applicate sanzioni e riduzioni dei trasferimenti? Sorpresa, il modus operandi del governo è il classico «dove prendo prendo». Tant’è che il sindaco Franco Tentorio ha esclamato: «Se questi sono i professori, w gli studenti asini». Nell’applicare le sanzioni, infatti, non vi è alcuna analisi delle ragioni per cui un Comune esce dal Patto. A trovarsi in questa situazione sono soprattutto i piccoli Comuni, caratterizzati magari da una discontinuità d’investimenti che li porta a rimandare da un anno all’altro il pagamento all’impresa che ha realizzato una scuola. E – oplà – ecco che il Comune si ritrova inadempiente e multato. Idem per i minori trasferimenti: se la spending review stima un risparmio di 500 milioni di euro per il 2012 nel comparto degli enti locali, non è che poi taglia di più dove si spreca di più, ma segue paletti general generici come grandezza e popolazione. In entrambi i casi (sforamento del Patto e tagli), comunque, neanche a farlo apposta, indovinate un po’ chi è a farne le spese? Ciascuno di noi. Perché per non soccombere il Comune ha due vie d’uscita: aumentare le tasse (Imu, Irperf e compagnia bella delle tariffe) oppure rimandare le opere pubbliche (come Caravaggio che non può sostituire il tetto in eternit delle medie per non sforare), con un danno per la collettività e l’imprenditoria locale. In tutto il pacchetto di limiti per gli enti outsider (dal blocco dei mutui a quello delle assunzioni), c’è pure una strizzatina d’occhio anticasta. Gli amministratori che non rispettano il Patto devono ridursi le indennità del 30%. Anche questo facile a farsi in periferia, un po’ più difficile a Roma. (Eco di Bergamo, 3-8-12)