“Attendiamo con ansia il federalismo”

pirovano.jpgPirovano – Nel suo saluto al Capo dello Stato il presidente della Provincia di Bergamo ha ribadito la i “nuove regole, concatenate all’Unità”.

“Attendiamo con ansia, signor Presidente della Repubblica, ma con fiducia, l’avverarsi delle nuove regole del federalismo, concatenato all’unità altrimenti imperfetta, per distribuire a tutti i cittadini pari diritti che corrispondano a pari doveri: realizzando così il sogno garantito dalla Costituzione di ogni donna e ogni uomo: essere liberi, vivere con dignità del proprio lavoro, provvedere al futuro dei figli, lavorare per vivere e non vivere per lavorare”: è stato questo il passaggio saliente del saluto del presidente della Provincia Ettore Pirovano al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ospite a Bergamo questa mattina. “In Lei, signor presidente della Repubblica, si identifica il “Galantuomo custode del diritto”. I bergamaschi non tradiranno mai i propri valori e i propri ideali rimanendo vigili difensori della libertà, di tutti. I Bergamaschi sono gente tenace, a volte con punte di durezza, orgogliosamente radicati nella propria terra, difensori della famiglia, delle tradizioni, della dignità. Sempre pronti a prestare soccorso ad altre genti in difficoltà o pericolo, i Bergamaschi hanno portato ovunque fossero, in Italia o nel mondo, gli stessi sentimenti che custodiscono nel cuore per i propri cari e la propria terra. La solidarietà è nella nostra anima anche quando chiediamo, con forza, correttezza nell’utilizzo delle risorse che derivano dal nostro lavoro. Vorremmo che tutti gli Italiani potessero beneficiare degli stessi servizi, efficienti ed economici, a tutela della salute e della famiglia. Vorremmo che le complicate strutture dello Stato scendessero concretamente al livello dei cittadini attraverso i Comuni e le Province. Vorremmo poter garantire al nostro territorio, strutture e servizi commisurati agli sforzi produttivi della nostra comunità per il rispetto dovuto alla dignità dei nostri Cittadini. Nell’Ottocento la Patria era la cascina, la baita; poi il villaggio, il piccolo paese. Si andava in guerra per difendere quella Patria, per non perderla: una Patria vicina, palpabile, delimitata nei confini dall’assenza d’ informazione e da nozioni diffuse con racconti trasfigurati dal passaggio di bocca in bocca. La Patria è dove ci si sente al caldo, in sintonia con tutti i cittadini di una Nazione. La Nazione è il risultato di un lungo passato di sforzi, di sacrifici e di dedizione nel rispetto degli antenati e dei figli. Ecco quello che ci deve unire”.