Sono, in vendita, al convegno, i grossi volumi de «I promessi sposi» tradotto in bergamasco, ma anche il «Nuovo vocabolario italiano-piemontese». Altri libretti, dati in omaggio, scritti in bergamasco si rivolgono ai bambini delle scuole primarie. Ci sono anche le parole crociate in «lingua» bergamasca. Sono state tenute per la maggior parte in bergamasco, lombardo, piemontese, le otto relazioni, che hanno animato ieri pomeriggio il convegno organizzato dall’associazione «Tèra de Bèrghem» su «La nòsta lèngua, le nòste lèngue», al Centro congressi Papa Giovanni. La domanda generale era: perché non tenerle in vita, come tenerle in vita le lingue popolari? Per tutti una certezza: il bilinguismo rende l’intelletto e il ragionamento più rapido e vivace, inoltre rappresenta una ricchezza culturale per la società nel suo complesso. E quando si parla di bilinguismo s’intendono non solo le lingue nazionali ma anche i dialetti, «lingue» a tutti gli effetti.
Il dibattito sulle lingue minori chiude il ciclo di tre incontri dell’attività 2010-2011 dell’Associazione Tèra de Bèrghem, presidente Gianmaria Brignoli, vice Maria Angela Alborghetti. Costituita nel 2005, l’associazione si impegna a mantenere vive non solo le tradizioni ma anche il dialetto orobico (mille anni di storia ma si rischia di buttarlo via in pochi decenni). «I genitori di oggi – ha detto Marco Tamburelli, pavese, docente di bilinguismo in Galles – sono cresciuti con due mele in tasca ed ora decidono di far crescere i figli con una mela sola». La morte dei dialetti è una perdita culturale. In Galles la lingua locale è usata e difesa anche dalle persone istruite. Del resto – ha detto ancora Tamburelli – è assodato che il bambino bilingue dimostra maggiori capacità di apprendimento, è più sveglio, riflette di più. La conoscenza di due lingue è un rafforzamento per la mente e un vantaggio culturale.
Gianfrancesco Ruggeri ha parlato dei cartelli stradali, che non devono ignorare i nomi antichi dei luoghi. Questa forma di bilinguismo, diffusa in molte nazioni, da noi deve affermarsi maggiormente. Occorre tornare a chiamare le località e le vie come una volta. Altrimenti si falsa la storia: il Monte Guglielmo, nel Bresciano, è stato chiamato così da un geografo non molto professionale che ha tradotto in Guglielmo il nome dialettale «golem» che derivava dal latino «culmen», la cima più alta. Una relatrice, Ilva Gibba ha detto che in Piemonte sono stanziati fondi regionali per docenti che insegnino il dialetto nelle scuole. Pietro Arrigoni ha raccontato il successo che nei Comuni bresciani (da 15 passati a 90) hanno le rassegne dialettali note come «Natale nelle pievi». http://www.teradeberghem.net//
(da Eco di Bergamo,30-5-11)